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In dialogo con Séverine Sofio 1/2 | cARacTères

Ricercatrice al CNRS, Séverine Sofio ha pubblicato diversi articoli sulla teoria e la metodologia del genere applicata alla storia dell’arte e sulle artiste nel mondo dell’arte del XVIII° et XIX° secolo (per vedere tutte le pubblicazioni di Séverine Sofio). Siamo andate a trovarla per scoprire il suo percorso e chiederle di parlarci delle sue ricerche. Questo incontro ha portato a due articoli. In questo che vi proponiamo oggi Séverine Sofio ci spiega che la teoria di genere, come si applica alla storia dell’arte e quali sono le difficoltà delle storiche dell’arte che cerano di studiare le artiste donne.

 

Qual è il tuo percorso ?

Il mio è un percorso tra diverse discipline : ho cominciato con la storia per diventare archivista, per cui ho fatto una preparazione per la Scuola di Chartes. Non ho passato il concorso, ma ho continuato la storia medievale all’università e sono entrata alla scuola del Louvre per studiare la storia dell’Arte. Al che, ho deciso di passare il concorso dell’Istituto Nazionale del Patrimonio (INP). Visto che l’anno di preparazione al concorso non dava alcuna borsa, ho deciso di iscrivermi al DEA di scienze sociali della Scuola nomale superiore e dell’ Ecole des Hautes études in scienze sociali (ENS/EHESS), che al contrario mi permetteva di avere una borsa per preparare il concorso all’INP. Era una formazione accelerata in scienze sociali – storia, sociologia, etnologia e scienze politiche. Avevamo molti corsi (con professori e professoresse formidabili ! Christian Baudelot, Alban Bensa, Éric Fassin, Frédérique Matonti, Gérard Noiriel, Claire Zalc, Nicolas Mariot…), uno stage pratico, due tesi di ricerca da scrivere… è stato un anno estenuante ma appassionante.  Così passionante, che alla fine non ho mai passato il concorso all’INP.

 

E quando hai cominciato gli studi di genere ?

Il mio soggetto di ricerca, in quel momento, già portava sulle “donne artiste” in Francia. Era un soggetto di storia sociale dell’arte che non era né ben definito né ben problematizzato, ma che esprimeva tutta la mia frustrazione di studentessa uscita dalla Scuola del Louvre con una reale erudizione museografica e un grande bagaglio culturale sulle arti del mondo intero, ma con ancora molte domande sul quotidiano e il percorso degli artisti di cui aveva studiato il lavoro. Come funzionavano gli atelier di questi.e artisti.e, quali erano le relazioni con i loro allievi, come/dove e a quanto vendevano le loro opere, etc ? Effettivamente, posso dire che sono arrivata alle donne, passando per il sociale, per l’interesse verso il quotidiano e la vita materiale degli artisti e artiste.  Inoltre, al terzo anno di antropologia sociale e culturale (era la mia specializzazione alla Scuola del Louvre), bisognava fare una tesi il cui tema era imposto. Per il mio anno, il tema era “I collettivi”. Io ho cercato un’associazione per fare una ricerca etnografica e ho scelto l’associazione femministe Les chiennes de garde. All’epoca ignoravo il mondo del femminismo associativo, ma attraverso quest’associazione, che era molto mediatica all’epoca, ho potuto incontrare delle militanti geniali (molte donne e un uomo, che non me ne vorrà se parlo di lui al femminile!). Loro mi hanno fatto conoscere i libri, i film e tutta una storia di cui non sapevo nulla fino a quel momento. Mi hanno aperto gli occhi. Dopo sei mesi a seguirle sul terreno e nelle loro riunioni, non vedevo più il mondo allo stesso modo. Quindi è stato durante il DEA, che ho realmente cominciato ad interessarmi agli studi di genere et ai rapporti sociali tra i sessi. A forza di leggere e di discutere con le amiche più formate, le cose hanno cominciato a mettersi in ordine nella mia testa, ho potuto fare delle scelte (teoriche, metodologche…) informate, come si dice in sociologia. Ed è cosi che, poco a poco, il mio oggetto di ricerca si è costruito.

 

Puoi darci una definizione di studi di genere ?

Il genere è un sistema che funziona sul principio della divisione dell’umanità in due gruppi distinti, impermeabili e gerarchizzati. È un sistema di dominazione che si gioca al contempo sul piano cognitivo, sul piano simbolico e sul piano materiale – ovvero è un sistema che struttura la nostra percezione del mondo, il nostro modo di essere, di pensare e di “fare società”. Nella nostra società contemporanea, questo sistema si traduce (tra le altre cose) nell’attribuire alle donne un posto nella sfera domestica e famigliare, al che consegue la loro fondamentale e supposta illegittimità nella sfera pubblica (da cui le aggressioni sessuali e sessiste), o nel mercato del lavoro (da cui la differenza di salario tra uomini e donne, etc). Gli studi di genere analizzano questo sistema, non solo le sue manifestazioni in tutti i domini, le loro conseguenze sulle vite, sui corpi, sui rapporti tra le persone e i gruppi, ma anche la maniera in cui certi.e hanno cercato di sovvertirlo e di denunciarlo.

 

Gli studi di genere rivendicano un’uguaglianza tra uomini e donne ?

Di per sé gli studi di genere non rivendicano nulla. Ma, né Il Nemico Principale, il suo raccolto di testi alla base della teoria del femminismo materialista – e, in un certo senso, degli studi di genere in Francia – Christine Delphy risponde a quei femminismi che affermano che ci si può rivendicare donne nel senso di una complementarietà con gli uomini : “ differenti ma complementari”, “differenti ma uguali”… Delphy spiega che questo ragionamento conduce ad un vicolo cieco, perché – afferma – se c’è differenza allora c’è anche gerarchia, l’uno non può andare senza l’altro. Ciò verso cui bisognerebbe tendere allora non è l’indifferenziazione, che è impossibile, ma l’universalismo, poiché alla fine ci sono tante differenze tra due donne e due uomini quante possono essercene tra un uomo e una donna. L’identità sessuata non è che un elemento tra molti altri (il quale per altro – come l’ha dimostrato la filosofa Judith Butler – è mutevole e fluttuante secondo le circostanze) per definire gli individui.

 

Qual è lo scopo degli studi di genere ?

Il sistema di genere sarebbe ancora più potente se fosse percepito come naturale, invece su tutti i livelli, culturale, sociale – ciò che è adottato – primeggia sull’innato, come l’hanno dimostrato diverse storiche, antropologhe, biologhe, e sociologhe… È per questo motivo che si dice che il genere precede il sesso, perché il sistema del genere fabbrica dei corpi differenziati, nel senso che ciò che è culturale finisce per avere un impatto sul biologico – questo è l’oggetto del lavoro dell’antropologa Priscille Touraille che si è domandata perché le donne sono più basse che gli uomini. Insomma, fare degli studi di genere significa rivendicare l’aspetto costruito, quindi normativo, di queste differenze; vuol dire provare a far luce sui meccanismi della dominazione, a far prendere coscienza di tutto ciò, gli studi di genere sono sociali – il che è una buona notizia, poiché significa che la situazione si può far evolvere. Dietro tutti questi lavori c’è una grande rivendicazione di libertà.

 

Come si rapportano gli studi di genere alla storia dell’Arte ?

Per me il genere è innanzitutto uno strumento, una griglia di lettura che possiamo veramente applicare a qualsiasi oggetto di ricerca, permettendo di porsi delle domande che altrimenti non ci si farebbe. Quindi, attraverso la lente del genere, si può veramente studiare la storia dell’arte. Sul piano storiografico, in storia dell’arte come in storia, si è arrivati a usare lo strumento del genere partendo dalla storia delle donne. Fare la storia delle donne significa fare la storia di una categoria socialmente specifica che non ha avuto molto spesso la parola nella storia. È indispensabile, c’è veramente una logica compensatoria e rettificatrice nella storia delle donne : le scienze sono state fatte dal punto di vista degli uomini bianchi. È necessario correggere quest’approccio, poiché all’origine di molto abbagli e errori. Il genere, al contrario, permette di spostare lo sguardo, passando dallo studio delle donne, a quello della bi-categorizzazione maschile/femminile, ovvero di interrogarsi sul sistema in sé.

 

Nell’articolo Schizzo di un’epistemologia della teorizzazione femminista in arte, co-diretto con Fabienne Dumont (2007, Cahiers du genre), avete parlato di un dilemma per le teoriche femministe dell’arte : la necessità al contempo di rivalorizzare l’identità dell’artista donna e di mettere in avanti il genere come variabile identitaria costruita. Puoi spiegarci meglio i termini di questo paradosso ?

Ho scritto questo articolo con Fabienne quando ero nel bel mezzo della mia tesi, nel pieno delle domande teoriche e metodologiche di cui ho appena parlato. All’epoca eravamo entrambe coscienti di questa contraddizione e del fatto che tutte le femministe che lavoravano sull’arte ci si sarebbero imbattute e ci sembrava difficile superarla : da un lato, c’è l’importanza di mostrare gli effetti che il genere, ovvero il fatto che le donne hanno un’esperienza sociale diversa da quella degli uomini (non perché siano diverse dagli uomini in natura, ovviamente, ma perché subiscono un’oppressione specifica, che prende la forma di limitazioni comportamentali, di ostacoli alla loro libertà di movimento etc.) ; dall’altro lato c’è la coscienza che non esiste un’arte “femminile”, nel senso che ci sembrava assurdo considerare le opere create dalle donne come se facessero parte di un insieme coerente – il sesso degli artisti non è un elemento sufficiente per giustificare un avvicinamento delle loro opere sul piano estetico. Le variabili di classe, di razza o di orientamento sessuale, in particolare, fanno che tutte le donne non hanno la stessa esperienza dell’essere donna – il loro rapporto al mondo è diverso, così come il loro modo di fare arte.

 

Come ti posizioni rispetto a questo paradosso ?

È complicato… giusto per fare un esempio, l’idea di un museo di artiste donne, come il National Museum of Women in the Arts à Washington mi fa riflettere da un punto di vista epistemologico. Capisco la logica compensatoria che sta dietro questo tipo di musei, la sostengo certo e apprezzo la qualità delle loro collezioni e l’interesse delle loro mostre. Ma con questo tipo di musei le donne sembrano escludersi dal grande museo “normale”, quello in cui si fa la “vera” storia dell’arte. L’operazione è quindi rischiosa e potenzialmente contro-produttiva. È il paradosso di cui parlavamo, con Fabienne, nell’articolo sui Chaiers du genre : fare conoscere le artiste donne dimenticate è importante ; ma se vogliamo veramente cambiare le cose in profondità, e fare in modo che aggiungere le donne nella storia dell’arte non sia percepito come “un valore aggiunto” ma come la normalità, la cosa importante da fare è quella di reinserire pienamente queste dimenticate nella storia generale dell’arte – nel “canone” per dirlo alla maniera di Griselda Pollock.

 

Hai trovato una soluzione per risolverlo ?

Una delle soluzioni – in ogni caso, quella che ho scelto di attuare – è di produrre una storia sociale degli artisti attenta al genere, ovvero produrre dei dati statistici precisi su un’epoca data, e studiare il quotidiano tanto degli uomini che delle donne artiste, per togliere l’illusione dell’eccezionalità facendo al contempo attenzione all’eventuali differenze. Si può così ristudiare tutta la Storia dell’arte (delle corporazione di pittori, dei Salon, delle avanguardie , degli “-ismi” e anche delle opere stesse…) con la griglia di lettura del genere. Facendo dei cataloghi di artiste donne, facendo musei di donne o mostre di donne, si rischia di ghettizzare in modo ancora più duraturo le creatrici della storia dell’arte. Non dico che non si debba fare, ma penso che sia necessario farlo in complemento ad altre azioni, perché in fondo, è molto più comodo per il patriarcato avere questo piccolo capitolo sulle donne alla fine del grande libro della storia. Forse per risolvere il paradosso, si potrebbero considerare queste azioni di valorizzazione dei percorsi e delle opere delle donne come una tappa propedeutica che permetterebbe già di mostrare che le creatrici sono esistite e che hanno fatto cose degne d’interesse. Tuttavia non bisogna assolutamente fermarsi là : una volta riconosciute queste donne, potremmo finalmente provare a reintegrale nella storia. Gli studi di genere, a condizione che siano associati a un’eccellente conoscenza della storia dell’arte delle donne e della storia dell’arte mainstream, sono indispensabili per compiere questa rivoluzione epistemologica.

 

Lisetta Carmi, Donna illuminata

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“…fa la fotografa e lavora come fotografa libera. Il suo interesse va alla vita dell’uomo in tutte le sue espressioni. Crede nella fotografia come testimonianza e documento. Crede che il mezzo politico più efficace e rivoluzionario per cambiare il mondo è amare la...

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