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In dialogo con Claire Tabouret | cARacTères

Dal diploma alla scuola delle belle arti nel 2005, da artista promettente Claire Tabouret è rapidamente passata ad essere una figura imprescindibile della scena artistica contemporanea. Le sue pitture, grandi formati all’insegna dell’eredità delle Nymphéas di Monet, suo prima rivelazione artisitca all’età di quattro anni, iscrivono dei personaggi dai tratti vivi e fluidi e dai colori acidulu su un fondo uniforme, come sospesi nel tempo. Sono degli uomini, delle donne, dei bambini ; delle debuttanti, dei migranti, dei lottatori, degli erranti. Sono delle serie che raccontano una ricerca universale, quella dell’identità, personale e collettiva.

Trasferitasi ormai a Los Angeles in un grande atelier, Claire Tabouret produce anche sculture. E da questo atelier che ha gentilemente accettato di rispondere alle nostre domande.

Ritratto di Mike Rosenthal.

 

Nel 2015 si è trasferita a Los Angeles. Perché questa scelta e in che modo ha influenzato il suo lavoro ?

Sono partita seguendo un impulso, una voglia di cambiamento radicale. Non conoscevo Los Angeles, e arrivando mi sono innamorata della città sin da subito. Un colpo di fulmine per la luce, lo spazio, la ricchissima vegetazione tra i palazzi. Il mio lavoro è diventato più movimentato, ha un’energia vitale più forte e questo penso sia legato al trasferimento nella città, ma anche al fatte di avere un atelier più grande, e quindi il corpo si muove differentemente. La luce anche è diventata più viva e i colori più freschi.

 

Come si svolge una sua giornata in atelier ?

Amo andare in Atelier non appena mi sveglio. Le mie giornate preferite sono quelle in cui non ho altri impegni, alcuna interruzione, ne appuntamenti, ne visite di studio. Con tutta la giornata davanti a me, tutto mi sembra possibile ! Lavoro su diverse tele allo stesso tempo. In atelier ho anche uno spazio dedicato alle opere su carta, con una pressa dove realizzo dei monotipi. E più recentemente ho installato una stanza dedicata alla scultura in gesso, un nuovo materiale che sto sperimentando questi giorni. L’atelier è come un alveare, sono sola dentro, ma è uno spazio in movimento. Movimento di idee, del corpo da una tela all’altra, da una sala all’altra.

 

Vue de l’expo One Day I Broke a Mirror.

Debuttanti + Yoko Ono, presa della mostra « One Day I broke a Mirror », 2018, Villa Medici.

Lei ha creato diverse serie di pitture (i diademi, le maschere, le debuttanti, i migranti etc) in formato piccolo e monumentale. Come passa da una serie all’altra e da un formato all’altro 

Non so in anticipo cosa succederà nel mio lavoro. È molto eccitante, è un’avventura ma anche una vita non tranquilla. Ogni quadro mi porta al successivo, ogni mostra mi porta alla successiva. Una mostra, con il suo titolo e il suo insieme di opere presentate contiene una narrazione che gli è propria. Ma in seguito facendo un passo indietro, mettendo una mostra una dopo l’altra, si può anche vedere il cammino che si sta tracciando, in cui le mostre parlano tra loro.

I suoi dipinti, realizzati con dei tratti spessi e fluidi e con dei colori acidi che costruiscono dei personaggi dalle espressioni straniate e delle composizioni bidimensionali, creano delle atmosfere sospese. Ha delle fonti, contemporanee o storiche, che la inspirano nella scelta dei soggetti e nella maniera di metterli in scena nello spazio ? Mi circondo d’immagini, principalmente trovate su internet. Mi interesse al linguaggio del corpo, al posto che prende in un gruppo, al rapporto tra due corpi in una coppia etc. Le foto mi aiutano a trovare le posizioni, ma alla fine i corpi che dipingono poi una storia che è la mia.

 

Uscita dalle Belle Arti di Parigi, ha detto di aver raschiato le opere realizzate fino a quel momento. Perché questo bisogno ? E da quel momento, finisce sempre le opere che comincia ?

Penso che all’epoca ero insoddisfatta di quelle opere realizzate durante i miei studi alle belle arti. Il raschiamento è stato un lavoro a lungo termine, molto meditativo. Le superfici bianche che ne sono risultate, portavano delle tracce, delle stigmate di quello che erano state. È su queste superfici caricate che si è costruito il mio lavoro. Non si parte da una pagina bianca, ecco quello che cerco di dire. Tutto si costruisce dalle rovine.

Non finisco sempre le opere che comincio, certe non trovano una via d’uscita. Non le getto, le metto da parte. E un bel giorno le riprendo per dipingerci qualcos’altro sopra.

 

Claire Tabouret, Makeup (red mouth), 2016, Acrilico su legno, 51x40.5 cm, foto : © Blungthangs bizs.

Durante una residenza artistica a Pechino, ha realizzato una seria di autoritratti all’inchiostro di Cina. Cosa vi ha spinto a diventare soggetto della sua pittura ? Che ruolo ha l’autobiografia nel suo lavoro ? All’epoca, quando ho cominciato gli autoritratti durante la mia residenza a Yishu 8, nel 2012, non avevo un atelier mio, cambiavo spazio in funzione delle opportunità di residenza, e soffrivo a volte di non avere la « camera a sé » come la descrive Virginia Woolf. Tutte le mattine il fatto di sedersi davanti ad uno specchio, e di fare un ritratto era per me un modo di creare uno spazio mentale di concentrazione necessario alla realizzazione del mio lavoro. L’idea non era di creare un bel disegno, ma di catturare in modo spontaneo ogni mattina il mio stato leggermente cambiato rispetto al giorno prima.

L’Autobiografia è molto presente nel mio lavoro, non sempre in moto letterlare, a volte più metaforicamente. Una parte di me è sempre disseminata nel mio lavoro. Mi sempre che parto sempre da qualcosa di molto personale per arrivare, attraverso la pittura, a qualcosa di più universale. In questo, mi sento prossima all’artista Bas Jan Ader. Le sue opere mischiano sempre autobiografia e narrazione in modo concettuale e poetico…

 

Claire Tabouret, Holding Back, 2018, gesso, legno, tessuto, acrilico e gesso unto, 1m15 x 75 x 1.15, Courtesy of the artist and Almine Rech Gallery, © Marten Elder.

Nel 2017, in occasione di UNE, ciclo di mostre organizzato da Chiara Parisi alla Villa Medici, ha collaborato con Yoko ONO per la mostra « One Day I broke a mirror » Può parlarci di questa mostra ?

La mostra, propostami da Chiara Parisi, metteva in relazione le opere di Yoko Ono con le mie pitture. E stato molto interessante vedere come, in questo avvicinamento abbastanza inatteso tra le nostre opere, si è costruito in un avvallamento la questione del corpo assente e del corpo costretto.

 

Secondo lei, cosa significa essere una donna artista al giorno d’oggi ? Quali sono le difficoltà maggiori cui una donna artista deve confrontarsi ? 

È difficile generalizzare tanto i casi sono diversi in particolare considerando i paesi di origine degli artisti. Io penso che il mondo dell’arte si stia muovendo per una maggiore diversità, e in particolare nel mondo istituzionale. Ci sono ancora delle ineguaglianze enormi, come i prezzi delle opere, basta guardare le vendite ad asta. Le donne affrontano molto machismo, che siano artiste o no.

 

 

Che rapporto ha con la sua femminilità ?

Ci sono dei giorni in cui mi sento più femminile, dei giorni più mascolina, ma prima di tutto mi sento un’artista, tutto passa per lo sguardo, la pittura e tutto il resto intorno è in movimento costante.

 

Che progetti per il futuro ?

La mia prossima mostra sarà a Gennaio a Honk Kong alla galleria Perrotin. Poi faro un solo booth a Febbraio con la mia galleria di Los Angeles, la Night Gallery, per la prima edizione di Frieze LA. Preparo anche una mostra che aprirà a luglio nell’ Hangar à Bananes di Nantes, e una mostra a Londra in ottobre alla galleria Almine Rech, e a novembre a Seoul con la Galleria Perrotin. Il 2019 sarà un anno denso, sono curiosa di vedere dove questi passi mi porteranno…

 

Claire Tabouret, Snow in the Desert, 2017, acrilico su tela , 230x330 cm, Courtesy of the artist and Almine Rech Gallery, Photo : © Mike Massey.

Lisetta Carmi, Donna illuminata

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“…fa la fotografa e lavora come fotografa libera. Il suo interesse va alla vita dell’uomo in tutte le sue espressioni. Crede nella fotografia come testimonianza e documento. Crede che il mezzo politico più efficace e rivoluzionario per cambiare il mondo è amare la...

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