« Tutto deve irradiare la luce – la forza – la vita »
Anna-Eva Bergman, estratto dai quaderni, 17.10.1946
Appena entrati nell’atelier d’Anna-Eva Bergman a Antibes, il tempo va in sospeso. Muri bianchi e una luce meridionale inquadrano le opere disposte nello spazio. Una larga finestra ritaglia il muro nord, immergendoci sullo sfondo nell’immenso campo di ulivi che si stende fuori. Spostandoci, lo spazio si anima, e a ogni movimento, crediamo di vedere i quadri appesi muoversi con noi : le stelle di Anna-Eva Bergman, come lei scrisse nei suoi quaderni, contengono « la loro propria vita interiore ».
Anna-Eva Bergman (1909-1987) è nata a Stoccolma in Svezia ma ha passato la sua infanzia in Norvegia, paese d’origine di sua madre. Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Oslo e di Arti Applicate di Vienna, si consacra all’illustrazione. I suoi disegni, pieni di umorismo, divorano la società contemporanea. Incontra Hans Hartung a Parigi nel 1929. La coppia si sposa lo stesso anno e inizia a viaggiare : Dresda, il sud della Norvegia, Parigi, Minorca, Berlino. Pubblica le sue illustrazioni nei giornali viennesi, poi norvegesi e si interessa parallelamente alla sezione aurea in pittura, ovvero quella proporzione ideale che permette di costruire forme armoniose. Nel 1937, separatasi da Hans Hartung, riparte a vivere in Norvegia, dove resterà fino al 1952.
Gli anni della guerra segnano una svolta nella sua arte ; ormai aspira a più libertà per consacrarsi interamente alla pittura. Nella lettera di rottura con Hans Hartung, gli dirà : « Devo essere completamente libera e sola, e soprattutto devo avere molto tempo – senza alcun lavoro domestico e altri tipi di impedimento, devo solamente occuparmi del mio lavoro personale e avere anche il piacere di riposarmi » (Lettera di Anna-Eva Bergman a Hans Hartung, 14 aprile 1937, archivi della Fondazione Hatung-Bergman). Si consacra quindi all’illustrazione e alla scrittura e pubblica un’opera, Turid en Méditerranée, che documenta la sua vita a Minorca con Hans Hartung. Tra il 1941 e il 1951, nei quaderni in cui scrive, sentiamo un interesse crescente verso l’astrazione : in essi usa infatti un vocabolario astratto nell’affrontare le nozioni di ritmo, linea, luce e forma. Nel 1942, avviene l’incontro decisivo con Christian Lange, un architetto norvegese restauratore di cattedrali medievali. Le loro discussioni sull’arte e la filosofia, il suo interesse per la sezione aurea e la sua conoscenza delle tecniche pitturali antiche nutrono e influenzano le riflessioni di Anna-Eva Bergman e il suo processo creativo.
Affascinata dalla pittura bizantina per la sua « forza di espressione straordinaria con un minimo di mezzi » (estratto della nota manoscritta firmata AEB, non datata, archivi della Fondazione Hartung-Bergman), Anna-Eva Bergman è particolarmente attenta quando Christian Lange l’inizia alla tecnica della pittura in foglia di metallo, molto utilizzata nell’arte bizantina e nelle chiese medievali. Dopo una fase di riflessione nei suoi quaderni, l’artista sviluppa un repertorio di forme astratte ispirate dalla natura : per prima la pietra nel 1951, a cui seguono dal 1952 montagne, oceani, alberi, astri… Concentrandosi sulla nozione del ritmo e della linea, Maria-Eva semplifica i motivi e astrae il reale. L’uso della foglia di metallo per trascrivere questo nuovo linguaggio corrisponde perfettamente alle idee che sviluppa nei suoi quaderni. Nell’arte medievale, le foglie d’oro permettono di suggerire lo spazio immateriale e atemporale del sacro. Bergman si definisce come una panteista, considerando che la natura è divina. A tal proposito, dirà : « è la forza inerente al divenire della Natura e dell’Uomo : è la Vita » (Conversazione con Andrea Schomburg, 1985, archivi della Fondazione Hartung-Bergman). Usare le foglie d’oro e d’argento nei suoi paesaggi, considerando il simbolismo spirituale che gli è attribuito, è un modo per Bergman di sublimare la natura donandogli un carattere sacro, universale ed eterno.
Inoltre, la foglia di metallo gli permette di lavorare la luce, nozione fondamentale della sua opera. Sarebbe d’altronde più giusto parlare di luci di Anna-Eva Bergman. Perché il riflesso luminoso è emanato in principio dalle opere stesse. Il carattere irradiante della foglia di metallo fa sorgere la luce dalla materia, e la dominante colorata percepita varia in funzione delle gradazione colorate nei fondi scelti. L’apporto della luce esteriore, che si tratti di un’illuminazione naturale o artificiale, viene ad aggiungersi. L’opera diventa viva, poiché reagisce al suo ambiente e alla maniera in cui l’osservatore si posiziona : nell’atelier Le Feu diventa perciò incandescente, e Le Grand Océan scintillante. E come se le stelle si muovessero con noi, allo stesso modo, insomma, di un paesaggio che cambia.
D’altronde, la luce delle opere di Anna- Eva Bergman, non è per forza diurna, visto che anche la luminosità della notte fa a parte della sue riflessioni artistiche. Bisogna dire che in Norvegia, ci si alterna tra il sole di mezzanotte che illumina giorno e notte in continuazione ; e la notte polare dove l’oscurità si bagna di una permanente luce crepuscolare. Questi fenomeni luminosi affascinano Bergman. Dopo un viaggio a Capo nord della Norvegia nell’estate nel 1964, si ricorda : « Era il mese di giugno, attraversavamo la zona della luce dove il sole non tramonta, e di conseguenza, neanche sorge. Non esisteva la notte e i paesaggi avevano un aspetto magico » (Conversazione con Andrea Schomburg, 1985, archivi della Fondazione Hartung-Bergman). Molte delle sue opere s’inscrivono in questa ricerca della luce nell’oscurità. Come anche vi s’inscrive anche l’insieme degli astri, un tema che l’artista sviluppa dagli anni cinquanta, e che tratterà fino alla fine della sua vita. Questo gli permette di fondere le sue ricerche artistiche : da una parte il far sorgere la luce dal motivo attraverso l’uso delle foglie metalliche; dall’altra la riflessione umana sugli astri, di cui abbiamo l’impressione che sia la luce a emanare dalla materia. Questa vibrazione della materia attraverso la luce, associata al tremore della linea, costituisce sicuramente la poesia delle opere di Anna-Eva Bergman, all’incrocio di un reale che cambia e di un’armonia eterna.
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