Nel 1984 inaugura a Ferrara la prima edizione della Biennale Donna, un momento espositivo volto a porre l’attenzione sulla presenza femminile nel mondo dell’arte, che non ha uguali in Italia. Il progetto nasce grazie alla sezione territoriale di UDI – Unione Donne in Italia, l’associazione nata nel 1944-1945 inizialmente per istituire il suffragio femminile e che è diventata poi il punto di riferimento per tutte le lotte e rivendicazioni delle donne, e dall’84 ad adesso ha attraversato diciassette edizioni, l’ultima terminata proprio qualche mese fa.
Ogni edizione è ospitata negli spazi del PAC, Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara, accanto a Palazzo Massari, e si caratterizza per la forte presenza femminile. Non solo sono donne le artiste, infatti, ma anche le curatrici e il personale scientifico, e sono davvero tantissime le artiste di fama internazionale che con la loro arte ne hanno occupato gli spazi: Paola Agosti, Bice Lazzari, Mirella Bentivoglio, Tomaso Binga, Dadamaino, Giosetta Fioroni, Carol Rama, Marina Abramovic, Luoise Bourgeois, Ana Mendieta, Teresa Margolles sono solo alcuni dei nomi notissimi della scena artistica mondiale che hanno preso parte con le loro opere alle Biennali ferraresi.
L’ultima edizione, che ha chiuso il 3 giugno 2018, dal titolo “Ketty la Rocca 80. Gesture, speech and word” è stata curata da Francesca Gallo e Raffaella Perna ed è stata una completa mostra antologica delle opere dell’artista romana, con contributi anche inediti, volta a riattivare il dibattito critico attorno a Ketty la Rocca.
Per meglio comprendere questa manifestazione siamo andati ad intervistare Lola Bonora, personaggio di spicco della cultura ferrarese, membro del comitato scientifico della Biennale nonché curatrice di alcune edizioni.
Lei ha una formazione molto variegata, nasce come attrice e solo successivamente si è approcciata professionalmente al mondo dell’arte. Quando è successo? Come è avvenuto questo passaggio?
Debbo ammettere che a prima vista, la mia formazione si presenta a dir poco variegata, potrebbe sempre a prima vista, rasentare la schizofrenia. Tuttavia, essendo nata in una famiglia estremamente creativa e atipica per i tempi (1935) sono cresciuta in un “clima” antifascista, laico, libero da imposizioni e convenzioni soffocanti. Mio padre non era un intellettuale, era un artigiano di eccellenza per le capacità creative e manuali che possedeva nella lavorazione dei metalli. L’interesse per l’arte era sotto traccia. I miei fratelli, Maurizio scultore e Paola pittrice, testimoniano l’attendibilità della mia lettura. In seguito a una serie di esperienze che hanno spaziato dal teatro al cinema, dalla radio alla televisione, non è stato così anomalo per me avvicinarmi al mondo dell’arte. Il periodo si colloca attorno ai primi anni settanta. Non mi dilungherò oltre perché detesto parlare di me.

Biennale della donne, ®Marco Caselli Nirmal
Lei è parte del comitato scientifico della Biennale Donna e ne ha anche curato varie edizioni. Ci può raccontare quando e come nasce questa manifestazione?
La Biennale Donna nasce nel 1984 per una scelta dell’UDI, oggi Unione Donne in Italia. L’associazione culturale ha sempre avuto grande sensibilità verso le tematiche culturali che coinvolgevano il mondo femminile, ma non aveva ancora affrontato il panorama dell’arte visiva contemporanea. La figura più importante da coinvolgere era sicuramente il Direttore di Palazzo dei Diamanti Franco Farina che aderì con grande disponibilità alla nascita di un appuntamento ancora oggi molto importante per la città.
E’ appena terminata la 17° edizione della Biennale Donna, ci potrebbe fare un bilancio?
Il bilancio è altamente positivo, del resto considerando la consistenza esigua del budget, non sarebbe stato possibile arrivare a diciassette edizioni se non ci fosse stata una struttura solida, competente, determinata (mi riferisco al Comitato Scientifico della Biennale) e con capacità operative di livello professionale. Va sottolineato che la GAMC, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, fin dalla prima edizione, come detto al punto 2, collabora in modo ufficiale mettendo a disposizione dell’evento sedi, materiali strutture, personale competente e qualificato.
Come mai si è rimasti a Ferrara? C’è la volontà di esportare la biennale al di fuori di Ferrara, in Italia o anche a livello europeo?
Uscire da Ferrara non è mai stata una priorità. L’appuntamento con la Biennale Donna si è storicizzato e il suo legame con la città è fondamentale. Del resto Ferrara ha avuto fin dagli anni sessanta una attività fortemente connotata nella divulgazione dell’arte moderna e contemporanea; la storia di Palazzo dei Diamanti e del suo direttore Franco Farina in carica fino agli anni novanta, ne danno ampia e autorevole testimonianza.

Biennale della donne, ®Marco Caselli Nirmal
Come viene organizzata questa Biennale? Quali sono i fattori di scelta di artiste e curatrici?
La scelta delle artiste viene fatta dal Comitato in seguito a una serie di proposte che possono essere presentate da componenti del comitato stesso, da artiste che si propongono, da curatrici o critiche d’arte alle quali viene affidata la cura nel caso venga approvato il loro progetto di mostra. Non di rado il comitato ha scelto un’artista e ha affidato la cura a personalità che ne hanno studiato a fondo il percorso artistico. Il caso più recente si è verificato nell’ultima edizione che ha presentato Ketty La Rocca, la cui mostra è stata curata da due eccellenti studiose Francesca Gallo e Raffaella Perna.
Quale peso ha questa Biennale sul panorama italiano? Richiama visitatori?
Parlare di peso lo troverei un po’ azzardato. Non mi risulta vi siano molti appuntamenti dell’arte che abbiano peso nel nostro Paese. Se togliamo da un elenco immaginario la Biennale di Venezia e alcune straordinarie mostre che è possibile vedere a Milano e a Torino qualche volta anche a Roma ed eccezionalmente a Firenze, penso a Bill Viola per tutti, si evince che la situazione italiana non è vivace come potrebbe e dovrebbe essere. A Ferrara i visitatori non mancano di certo, ma quello che privilegiamo è il lavoro con le scuole superiori in particolare con il Liceo Artistico la cui collaborazione assidua e puntuale da ottimi e pregevoli risultati.
Crede che sia giusto avere una Biennale dedicata alle donne? Era giusto negli anni ’80 ed è giusto adesso?

Biennale della donne, ®Marco Caselli Nirmal
Non vedo perché non dovrebbe essere giusto. Solamente le figure femminili siano artiste, curatrici o studiose che temono di essere ghettizzate si rifiutano di partecipare, ve ne sono ancora, non più molte in verità, sono personalità femminili che hanno bisogno del consenso e dell’apprezzamento maschile per potersi sentire realizzate. Se si scorre l’elenco delle presenze nelle diciassette edizioni della Biennale si può notare che molte artiste non si chiedono se sia giusto o meno; accettano esclusivamente in base alla professionalità e alla qualità che gli viene garantita.
Riguardo ai ruoli di dirigenza nelle istituzioni culturali (dai musei, ai comitati scientifici/direzioni di biennali e fiere, fino all’organizzazione di mostre temporanee), com’è la situazione italiana attuale rispetto alla rappresentatività femminile in questi settori? Pensa ci sia stato un miglioramento rispetto al passato? Rispetto anche ad altri paesi?
Partendo dalla premessa che l’emancipazione del mondo femminile in Italia è segnatamente inferiore, sul piano numerico, a molti altri paesi europei, anche se troppo lentamente la situazione sta migliorando. Tuttavia se pensiamo che ci si scandalizza perché a dirigere musei italiani vengono chiamati dei curatori “stranieri” in quanto europei, sappiamo di dover fare i conti con una società arretrata e disperatamente provinciale.
Il caso Weinstein negli Stati Uniti ha dato il via a un’ondata, rappresentata sui social dal movimento “me too” “quella volta che” etc, di sdegno e di denuncia che, dal mondo del cinema e dello spettacolo, si è estesa a tutte le professioni e in generale a tutti gli ambiti della vita delle persone. Come ha reagito il mondo dell’arte a questo movimento? E lei cosa ne pensa?
Questo è un problema secolare che riguarda la debolezza l’insicurezza e la disperazione degli uomini. Fino a quando le società le religioni, la politica, la scuola di ogni grado ma prevalentemente l’asilo, la psicoanalisi, la psichiatria, la famiglia, in primo luogo le madri, voglio dire se tutti questi soggetti e altri che ho sicuramente dimenticato, non metteranno a fuoco il problema tenendo ben presente il “soggetto” intendo il maschio ovviamente, non si esce dall’enorme equivoco secondo il quale dovrebbero essere le donne-vittime a risolverlo. Siamo seri per favore.

Biennale della donne, ®Marco Caselli Nirmal
BIOGRAFIA:
Lola Bonora nasce nel 1935 a Ferrara e compie i primi passi nel mondo dell’arte diventando attrice: in questa veste ha solcato per anni i teatri per poi affacciarsi al cinema, dove è comparsa anche nei primi film del giovane Pupi Avati. Cresciuta in un ambiente culturalmente vivace, si sposa giovanissima con Franco Farina che diventerà lo storico direttore di Palazzo dei Diamanti, il più importante centro culturale di Ferrara e sede di esposizioni dalla forte importanza internazionale. Lola si addentra nel mondo dell’arte prendendo parte alla vita politica cittadina ma non solo prima attraverso l’assessorato alla cultura della Provincia e poi a quello della Regione. Uno dei più importanti progetti portato avanti da Lola Bonora è stato sicuramente il Centro di Video Arte nato nel 1972 e attivo fino al 1994, un esperimento che ha avuto il sicuro merito di aiutare a portare la video arte in Italia e a rendere il paese al passo con gli altri stati.

®Marco Caselli Nirmal
Un caloroso ringraziamento va al personale di UDI Ferrara per la gentilezza e la disponibilità dimostrata.
D’Anna Chiara d’Aloja

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