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Conversazione con Sophie Motsch | cARacTères

Sophie Motsch è conservatrice al dipartimento del XVII e XVIII secolo del museo di Arti Decorative di Parigi. E curatrice della mostra « Même pas peur! Collection de la baronne Henri de Rothschild » che si tiene alla Fondazione Bemberg di Tolosa fino al 30 settembre e che presenta un singolare insieme di 180 teste di morto conservate al museo delle Arti Decorative di Parigi. Mathilde de Rothschild (1874-1926), moglie del barone Henri de Rothschild, madre di famiglia, filantropa e donna di mondo, ha riunito degli oggetti intorno al tema della morte e dello scheletro. In effetti, la collezione comprende delle piccole teste di morto realizzate con diversi materiali – avorio, osso, pietra, ceramica, legno, coralo, cristallo –delle perle di rosari, delle statuette, dei pomi di bastoni, un orologio, una spilla da cravatta elettrica o ancora dei netsuke giapponesi

 

Sophie Motsch, © Luna Violante

 

Come è arrivata a interessarsi alle arti decorative ?

Sicuramente non sono state le lezioni all’università, dove non ho mai seguito un corso di arti decorative. E stato piuttosto un interesse personale per il Museo di Arti Decorative che visitavo molto spesso. La prima volta che ci sono andata, ho visto una mostra memorabile sullo zucchero, dove c’erano delle decorazioni di zucchero, è stato veramente incredibile. Avevo appena nove anni e ne ho un dolce ricordo.  Avevo voglia di diventare conservatrice di museo da quando ero alle medie, in particolare dopo aver visto al Grand Palais di Parigi la mostra « Seicento ». E stata assolutamente meravigliosa perché lo scenografo, Pier Luigi Pizzi, aveva ricostruito una navata di chiesa, con degli altari laterali in stucco con un aspetto molto barocco e con un forte richiamo al teatro. All’epoca per me essere conservatrice di museo significava al contempo occuparsi di una collezione, anche se non avevo un’idea chiara di cosa fosse il mestiere, e creare delle scenografie, ovvero mettere in valore gli oggetti, un lavoro quindi più da decoratrice e  da scenografa. Non è quello che poi ho fatto perché a dire la verità non sapevo come si facesse, ma essere conservatrice per me raggruppa tutto ciò, perché anche se non sono quella che disegna la decorazione, posso dialogare con lo scenografo e quindi partecipare con le mie idee alla sua elaborazione.

 

© Felipe Ribon

 

Parlando di scenografia, quest’anno è stata per la prima volta curatrice della mostra « Même pas peur ! Collection de la baronne Henri de Rothschild » alla Fondazione Bemberg a Tolosa. Considera che la possibilità di presentare il frutto delle sue ricerche in una mostra sia un traguardo nel suo ruolo di conservatrice ?

E stata per me un’incredibile fortuna, perché ho avuto la possibilità di cominciare a fare delle ricerche sulle teste di morto nel 2003 per una mostra che ne esponeva alcune. Ho conservato con cura le mie ricerche che mi sono servite per una pubblicazione sulle collezioni private dei Rothschild. Grazie all’uscita di quest’opera, in tre volumi per un totale di circa mille pagine, il direttore del museo delle Arti Decorative ne ha preso conoscenza e la comunità scientifica ha scoperto veramente questa collezione. Quando il direttore del museo delle Arti Decorative è stato chiamato a far parte del consiglio scientifico dalla fondazione Bemberg di cui è membro, ha proposto questa mostra. La Fondazione Bemberg ha colto l’occasione, trovando che il soggetto corrispondesse alla sua politica espositiva, che è molto varia. Ecco dunque come la macchina è stata messa in moto e come mi sono dedicata a questo lavoro che, sicuramente, non ha nulla a che vedere con lo studio di una collezione, trattandosi piuttosto di metterla in valore per una mostra.

 

Miradori. Museo Lambinet. Versailles. RMN

Era la prima volta che si trovava alla testa di una mostra, come è passata dal lavoro di ricerca a quello della divulgazione al pubblico ?

Per prima cosa ho dovuto riflettere sulla maniera di presentare le opere, perché l’insieme della collezione è molto disomogeneo. Ci sono molti oggetti frammentari o molti piccoli e simili, che non hanno individualmente un grande interesse in sé, quello che conta è l’effetto che questi oggetti hanno in massa.  Quindi, se per la mostra al pubblico, non era importante mostrare in modo che rischiava di essere stucchevole le piccole teste di morto che si assomigliano tutte e che non sono neanche così belle, per il catalogo è stato invece imperativo che apparissero tutte. Mischiando queste due necessità che sono connesse ma non legate, e soprattutto discutendo con lo scenografo (Hubert le Gall), è stata elaborata una scenografia che permettesse di capire a colpo d’occhio le funzioni di certi oggetti, raggruppandoli. Quest’operazione è stata veramente molto piacevole, all’inizio avevo pensato di raggrupparli per tipologia – gli oggetti religiosi, gli oggetti più neutri, i gioielli – e per funzione ma nonostante tutto, questa ipotesi si è dimostrata difficile. Le proposte dello scenografo, come quella di mettere nelle vetrine dei gruppi di una ventina di oggetti sullo stesso tema, con una scenografia molto forte che permettesse subito di individuare la funzione dell’oggetto, mi hanno molto aiutata nell’elaborazione del percorso, agevolata anche dalla buona intesa con lo scenografo. Mi sono presto resa conto che sarebbe stato molto utile avere la stessa scenografia nel catalogo. Così sono stati inerite le foto delle vetrine con i vari gruppi. Poiché gli oggetti sono molto piccoli, i più belli sono stati estratti e mostrati in modo dettagliato.

Inoltre, il fatto che certi oggetti fossero difficilmente comprensibili se semplicemente mostrati, ci ha spinto a realizzare dei piccoli film. C’è ad esempio una spilla per cravatte che schiocca la mascella e che muove gli occhi, il film di pochi secondi, presentato su un tablet accanto all’oggetto esposto, permette di comprenderne il meccanismo. Allo stesso modo, c’è un pomo di bastone che tira fuori la lingua e muove gli occhi. Sono stata veramente contenta di potermi appoggiare sulla tecnologia per una presentazione più dinamica e viva, che apporta della novità, dal momento che è abbastanza raro avere dell’animazione in una mostra. D’altra parte, per meglio far capire certi oggetti a due facce, abbiamo immaginato di farli ruotare su delle assi, mosse da piccoli motori elettrici nascosti nelle vetrine. Anche degli specchi sono stati usati per mostrare tutte le parti degli oggetti.

 

© Felipe Ribon

 

Lo studio dei collezionisti vi appassiona e avete avuto modo di studiarli. Dopo questo studio della collezione, della vita e della personalità della baronessa Henri de Rothschild, potreste dirci se ha notato delle caratteristiche proprie alle donne collezioniste, e delle differenze rispetto agli uomini collezionisti che conosce ?

E veramente difficile da dire perché non conosco bene le collezioniste donne della stessa epoca, ad ogni modo quel che è certo è che il tipo di oggetti collezionati dalla baronessa è singolare e in generale gli oggetti macabri sono usualmente collezionati dagli uomini. Per il momento, non ho mai incontrato nelle mie ricerche delle donne che collezionano oggetti macabri. La baronessa Henri de Rothschild è un caso unico per il momento. D’altra parte, è certo che lei si distingue dalle altre donne collezioniste della famiglia, dal momento che gli oggetti della sua collezione hanno un potere simbolico molto forte. Tra le donne collezioniste della famiglia Rothschild, la baronessa Charlotte, che è la nonna del marito della Baronessa Henri de Rothschild, aveva una vera vena artistica : era pittrice, disegnava molto e collezionista principalmente di pittura, un tipo di collezione abbastanza banale. Ma ci sono altre personalità un po’ più vicine di età della baronessa Henri de Rothschild, come la baronessa Alice, che era nubile, senza figli – al contrario della baronessa Henri che aveva un marito, dei figli e dei nipoti. La baronessa Alice collezionava per tema : pipe e scatole per fiammiferi. Tuttavia, se posso permettermi, quella di Alice è un’azione meno importante dal momento che nel suo collezionare non c’era la stessa riflessione simbolica, spirituale, filosofica che potrebbe esserci dietro il fatto di collezionare delle teste di morto. Mi sembra che il gusto della baronessa Henri de Rothschild nel collezionare degli oggetti di qualità relativamente mediocre – non voglio generalizzare ma su 180 oggetti ce ne sono veramente pochi che devono aver avuto un valore di mercato considerevole – molto altri sono frammentari e stilisticamente poco interessanti, sia il segno di uno spirito collezionistico ben lontano dagli altri collezionisti e dalle altre collezioniste. Sembra quasi che questa collezione ambisca più a farsi gioco dell’atto stesso collezionare e forse delle collezioni dei Rothschild, in generale molto prestigiose e viste come tali al pubblico. Purtroppo, non avendo avuto accesso agli archivi di famiglia della baronessa, non sapendo nemmeno di cosa sono fatti questi archivi, mi sono accontenta di emettere delle ipotesi che ho riformulato nel catalogo, senza avere alcuna certezza.

 

© Felipe Ribon

 

E il carattere insolito di queste teste di morto che l’ha attirata verso questa ricerca oppure il fatto che la proprietaria fosse una donna ?

Non è minimamente il fatto che fosse una donna che mi ha spinto a studiare questa collezione, ma per la buona ragione che c’era una conoscenza lacunosa nel museo di questa collezione, e anche perché si pensava che questa fosse la collezione del barone. Io stessa ho a lungo pensato che fosse la sua, perché nelle schede delle opere c’era scritto indiscriminatamente « barone » o « baronessa » e « baronessa Henri » era spesso trasformato in « barone Henri » a causa di una cattiva conoscenza del fatto che agli inizi del XX, per convenzione, una donna si chiamava con il nome e il titolo di suo marito al femminile. Quindi non è minimamente l’aspetto della collezionista donna che mi ha attirata, è stata veramente la singolarità degli oggetti.

 

Può raccontarci qualcosa dei suoi progetti in corso ?

Da una parte ho in programma di realizzare una guida di aiuto alla visita per un’altra collezione composta da 250 flaconi e oggetti dedicati al profumo, che è esposta nel museo. Questi oggetti sono stati donati da un collezionista nato nel 1884, dunque dieci anni dopo la baronessa Henri de Rothschild. L’ho studiata in modo relativamente approfondito nell’ambito di un lavoro universitario. I cartelli non sono soddisfacenti quindi voglio realizzare un piccolo libro di aiuto alla visita che sarebbe il principio di una pubblicazione maggiore su questa collezione. Dall’altra, continuo a riunire un numero crescente di documentazione sul tema della vanità poiché il museo delle Arti Decorative vorrebbe realizzare una mostra su grande scala su questo tema, nella quale sarà sicuramente reintegrata la collezione della baronessa Henri, che, fatta eccezione di sei oggetti, non è esposta nella mostra della collezione permanente. La mostra dovrebbe trattare, in un modo che è ancora da definire, tutti i domini della creazione artistica, in particolare le arti decorative, ma anche la moda, la pubblicità e i giocattoli. Sarebbe quindi una mostra su un fenomeno di società che coprirebbe un periodo vasto, probabilmente dall’apparizione della rappresentazione della morte e delle teste di morto, ovvero dal XVI secolo, fino ai nostri giorni.

 

Sophie Motsch, © Luna Violante

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